Lui odiava andarci, litigavano sempre. Lei invece adorava andarci, anche se purtroppo e — nel modo più assoluto! — mai per colpa sua, litigavano sempre.
La prassi una fotocopia: parcheggiare i bambini dai nonni e farsi prestare il peggior furgone del parco mezzi di quel taccagno traslocatore del cognato.
Guai a farle la battutina del déjà vu quando ben oltre la metà delle volte, al ritorno, si ritrovava a guidare per trasportare loro due più una confezione di candele profumate che non bastava a coprire il tanfo di nafta di quel carcassone sgangherato, ma era il solito — Idiota! Che ne sapevi cosa avremmo potuto trovare all’angolo occasioni? — e da lì cominciava l’elenco dei mobili che sì, non erano rotti o vecchi, ma si può sempre trovare qualcosa di meglio, dal design più moderno e funzionale. Quando sentiva quelle tre parole sopprimeva un brivido di sopportazione, specialmente “funzionale”.
Al secondo piano (si doveva cominciare tassativamente da lì come nel gioco dell’oca) la campanella del primo round non si fece attendere e squillò con i di lei elogi a letti-contenitore e testiere-librerie e i di lui potenziali ecosistemi di acari e accumula polvere, disutili cause di asma ed enfisemi. Il secondo round li attendeva alle camerette per bambini e lui era già pronto per l’attacco “ma che bel letto a castello marcondirondirondero” opponendo due figli obesi non certo per colpa sua e la condanna a scaricatore di porto-casa ogni sera da divano a castello con un bisontino sulle spalle… che successe qualcosa. Stava sibilandole un — Hai intenzione di dormire qui o possiamo andare a vedere i benedetti divani. — che a metà frase fu folgorato dalla vista di un viso ceruleo , acquoso e fluttuante riflesso su un quadro in una lontana cameretta per bambini, che muoveva le labbra esattamente come lui, tanto che sfumò la frase restando di ghiaccio a fissare quel miraggio galleggiante che ora aveva anche la bocca aperta, come lui. La chiuse, e quello la chiuse.
— Guarda là! — le esclamò afferrandola per un braccio.
— Uh! Bellissima quella cameretta! Non dirmi che ti piace! — fece lei piacevolmente sorpresa.
— Ma no! Guarda il quadro! Il quadro!!! —
— Oh… stupendo! Lo prendiamo per la camera dei bambini? —
— Ma tu non vedi niente? — disse ancora doppiato dal silente labiale dell’infausto miraggio.
— Ma allora cos’è che ti piace? Dimmelo! — gli fece divincolandosi per andare verso la cameretta, non le pareva vero che lui avesse trovato qualcosa di suo gusto che non fossero salame di renna e biscotti alla cannella. Rinfrancatosi un attimo al pensiero che non poteva che trattarsi di un gioco di riflessi, la seguì, ma con le gambe molli e a bocca aperta. Il viso cominciò a sfumare man mano che si avvicinava e quando furono entrambi nella cameretta e lei già carezzava una seggiolina come fosse Fuffhi, era svanito del tutto.
— Ma ti piace davvero così tanto questo quadro? Hai sempre preferito vetro senza cornice… — gli disse vedendolo continuare a fissarlo incantato. Lui muto tornò lentamente indietro verso il posto del primo avvistamento, voltandosi di scatto ogni tre passi. Lei, osservandolo un po’ stranita, stavolta si concentrò sulla scrivania pensando che doveva essere quella l’oggetto del suo inaspettato interesse.
— Bella eh? Come piacerebbero due di queste ai bambini, magari di due bei colori diversi… —
— Fosse per te ti compreresti tutto, ma proprio tutto. — ci tenne a sottolineare — Devo andare in bagno. —
Le fece ormai ripresosi dallo spavento e sempre più certo dell’ipotesi gioco di riflessi ma gli serviva un attimo di quiete, comunque quel bizzarro episodio l’aveva un po’ scosso.
— Ti aspetto ai divani. — La sentì dire già dandole le spalle e guardando lungo il cammino tutte le possibili superfici riflettenti che avevano potuto creare quell’effetto che però, pensandoci bene, era stato momentaneo. Appena entrato nei bagni fu sorpreso dal suo acume: era pieno di gente, sicuramente qualcuno aveva tenuto aperta un’anta da qualche parte giusto il tempo di creare quella combinazione di rifrazioni. Non poteva che essere sua quella faccia, e lei semplicemente non l’aveva vista perché il punto di osservazione non era allineato con il suo, unico in quell’incastro raro ma possibile. Incredibile, dopo lo avrebbe raccontato e si sarebbero fatti due risate, magari quella volta non avrebbero litigato, pensò ridacchiando mentre si insaponava le mani.
— Così tu puoi vedermi. — lo gelò una fredda quanto afona voce femminile.
Sentì il sangue scendergli a cascata verso i piedi, rimase a fissarsi le mani e le bolle di sapone, irradiate da una lenta, fioca luce intermittente, la sorgente era all’altezza della sua testa, nello specchio che aveva di fronte e sul quale non osava alzare lo sguardo, terrorizzato. Aveva quasi trovato il coraggio per fuggire che la voce riprese.
— Non aver paura, ti prego. Non posso fare del male. Tu hai un dono, ti può essere molto utile. Può cambiarti la vita se impari a conoscerlo e ad usarlo. —
— Possibile che con tutta questa gente non c’è nessuno a cui scappi da pisciare? — si disse sconvolto di sudore freddo sperando che qualcuno potesse entrare in quel momento e mettere fine a quell’incubo.
Fu esaudito. Entrò di corsa un signore attempato che se la stava facendo sotto, sbattendosi la porta del primo bagno alle spalle. Ma la presenza era ancora lì e anche lui, mani serrate ancora insaponate e occhi sgranati sulle bolle. Entrò un ragazzo per lavarsi le mani a due lavandini dal suo. Lui lo fissò e quello dopo un’occhiata interrogativa lo salutò timidamente, inquietato dal suo sguardo e dalla sua rigidità.
— Non può né vedermi né sentirmi, — gli sospirò la voce, — solo tu puoi farlo, tu hai il dono. —
— MA CHI SEI! CHE VUOI DA ME! — sbottò alzando lo sguardo allo specchio, giusto il tempo di sentire il rumore della porta e non vedere il povero ragazzo che fuggiva allucinato con le mani insaponate sgommando in retromarcia.
— Non gridare, o ti prenderanno per un pazzo e ti trascineranno via con la camicia di forza. Stai calmo e ascoltami. —
Sembrava l’immagine dello specchio della regina di Biancaneve ma era una donna ed anche se fluttuante ne riconosceva dei bei lineamenti. Restò a fissarla ipnotizzato. Nel frattempo, il signore dalla vescica debole era uscito e si accingeva a lavarsi le mani fischiettando.
— In vita ero una donna felice, come tua moglie, casa, famiglia, amiche, un lavoro, ero commessa qui all’Ikea, part-time. Amavo questo posto, a un punto tale che quando potevo ci tornavo. Non molti sono così fortunati da avere un posto di lavoro dove desiderano tornare anche nel tempo libero. Tu ad esempio no, non è così? —.
— Che ne sai tu di me? Ci spii anche a cas… —
— Prego? — gli fece il signore a fianco guardandolo interdetto. Non gli rispose continuando a fissare lo spettro e quello se ne uscì alla chetichella lasciandoli di nuovo da soli.
— L’unica nota stonata in quell’armonia quasi perfetta era che mio marito non sopportava questo posto e faceva di tutto per rovinare la mia passione, anche sadicamente a volte. Mi ricorda qualcuno… — lo pizzicò con un sorriso ironico galleggiando più intensamente, — … e io sopportavo, sopportavo, sperando che un giorno una magia avrebbe potuto cambiarlo, ma purtroppo sono morta prima e sono riuscita miracolosamente a fuggire dall’aldilà, dove non è male… —
— Ma non c’è l’Ikea! — sbottò lui con una risata tesa ed isterica. Si ghiacciò quando vide la tenue luce celestina prendere sfumature giallo – arancione.
— Hai detto che non puoi fare del male! — starnazzò intimorito.
— Purtroppo sì. — replicò secca riprendendo le tinte originali.
— Tu che poteri hai? Hai detto che io ho un dono e posso usarlo, ma come? — aveva preso coraggio.
— I miei poteri? Non e ho tanti, non posso agire sulla materia in nessun modo ma posso interagire con la mente, solo quella delle donne, purtroppo, — emanò un flash arancione e lo guardò in cagnesco, — e a volte, se sono sulla mia stessa lunghezza d’onda, per così dire, posso indurle a fare alcune cose, ad esempio acquisti un tantino esagerati. — ridacchiò.
— E il mio dono? Come potrei sfruttarlo? — disse tradendo avidità.
— Uh, aspetta! Non ti ho parlato di un altro mio potere. Ubiquità. Posso essere in più posti contemporaneamente. —.
— Lo so cosa significa ubiquità. — replicò sprezzante.
— Allora puoi immaginare che mentre ti ho intrattenuto qui, nel frattempo, ho seguito la tua adorabile moglie, ho scoperto che avete il conto bancario cointestato e le ho fatto fare qualche piccola follia. Ha appena acquistato un divano in pelle tre posti Mlohkcots , 1.500 euro… ma non è un problema per te, vero tesoro? AHAHAHAHAHAHAHAH!!!! — svanì lasciandolo con l’eco di quella sinistra risata a guardarsi stordito la faccia nello specchio.
— Nooooooooo!!! — uscì come un indemoniato alla ricerca di lei, tra le risate beffarde dello spettro che lo seguiva su ogni oggetto riflettente con cui lui si imbattesse durante la sua corsa sfrenata, gridando il nome di sua moglie sotto lo sguardo atterrito di clienti e commesse, mentre lo spettro gli gridava dietro
— ILDRON! Struttura letto con contenitore 430 EURO! ACQUISTATA! AHAHAHAHAH —
— Fermatela! Fermate mia moglie!!! —
— KILVAM! Materasso in lattice naturale 500 EURO! AHAHAHAHAH —
— TI PREGO! BASTA!!! — strillava disperato perso in quel labirinto infinito,
— Hai la Carta Ikea Family? NO? Spiacenti… ATSKCOD cucina completa 4.600 EURO AHAHAHAHAH! —
Si svegliò di soprassalto dando una gran testata al comodino Sarnon e facendo cadere a terra la sveglia Siviv svegliando anche lei,
— Ma che hai? Che fai con quelle mani? Ricordati di chiamare mio fratello, dobbiamo andare all’Ikea per il divano. —
— Devo riflettere. — Le rispose insaponandosi le mani a secco, lo sguardo perso nel vuoto.