Il grande maestro era alto, bianco con gli occhiali e ci voleva bene a tutti, anche ai più cattivi. Quando era arrabbiato faceva finta e si vedeva bene.
Anche con il bambino che non capiva, quella volta che tutto contento gli aveva portato il quaderno che aveva riempito di strani segni tutti uguali, invece di fare tutte S, sopra i righi.
Gli aveva sorriso, fatto una carezza e detto — Bravo! —, poi l’aveva accompagnato al banco e si era messo accanto a lui, a tenergli un po’ la mano con la penna e a parlargli piano, che noi non sentivamo.
Quando era quasi Natale, il grande maestro ci disse di portare forbicine e cartoncino per il giorno dopo.
Quel giorno di scuola prima delle vacanze, ci fece disegnare delle spirali sui cartoncini bianchi e ce le fece ritagliare, intanto lui aveva sistemato dei bastoncini sopra i termosifoni, sotto le finestre.
Poi prese le nostre spirali, le allungò e le appoggiò sopra i bastoncini, che sembravano tutti alberelli di Natale, solo che dopo un po’ avevano iniziato tutti piano piano a girare.
Perché, ci spiegò, l’aria calda va sempre verso l’alto.
L’aria calda, man mano che ci scalda, non ha finito il suo lavoro, sale su in cielo a scaldare le anime perché lassù deve fare proprio freddo, è lì che si crea la neve.
Il migliore maestro della mia vita, quando avevo sette anni,
il maestro Zefferino.