Sottovento

Questo racconto è del 2011, Ermete, un hacker solitario in vacanza, vede crollare tutte le sue fisime grazie ad un potente “incontro”.

L’ultimo fotogramma di quel sogno agitato e senza senso, una specie di  zapping da telecomando del mio vissuto in mano a un tarantolato, è un giradischi spento con il braccetto abbassato sul vinile, la puntina immobile.
Un decimo e riparte suonando il rumore del vento, della spiaggia estiva e del mare grosso. È un disco graffiato, di sabbia frustata nel vuoto da qualcuno che non si cura di chi gli è accanto e soprattutto sottovento.
La tempestina mi investe il viso e sfila sotto gli occhiali a velocità supersonica, tanto che ho l’impressione di accusare l’abrasione sulle palpebre ancor prima di udire il botto dell’asciugamano.

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Mentre levo gli occhiali da sole, la regione razionale del cerebro mi parte in calcoli sulla velocità del vento pomeridiano e quella del suono mentre l’altra regione, quella animale, offesa dal gesto affatto altruista dell’ignoto reo vicino d’ombrellone,  lancia l’impulso alle palpebre di schiudersi per svelarne quanto prima l’identità e sbaglia. L’ingenua razionale ha in quell’attimo la risposta: il vento è più veloce e la sabbia si leva assai prima del botto. La animale che ha attivato le palpebre non fa in tempo ad ordinare la ritirata. Risultato: flash abbagliante, spilli negli occhi, secondo botto e oscurità. Mi esce un timido cribbio rantolante, ormai sono diventato  una specie di muffa pensante. Computer dieci, undici ore al giorno porta l’essere ad una sorta di mutazione. A farla breve sono bianco stracchino e mi infastidisce prima o poi quasi tutto, tanto o un po’. La notte, un buon pallido monitor, il buio tutt’intorno e l’odore del caffè formano il mio habitat ideale. Decido quindi di riemergere dal sonno sicuramente ad occhi chiusi cercando a tentoni l’acqua minerale e pentendomi di aver scelto di nuovo il mare per l’annuale vacanza obbligatami ancora dai vecchi in squadra col dottore e i suoi ictus in agguato, gli occhi e le mal posture. Facendolo mi accorgo che mi sono fuso al  PVC  zigrinato del lettino e soprattutto che la razionale non ha ben calcolato la traiettoria solare e la velocità di spostamento d’ombra d’ombrellone rispetto alla posizione del talamo plastificato relazionata alla durata della siesta pomeridiana incontrollata, ne sono schiavo. Quanto sono stato in coma? Ho i piedi esposti agli UV fino a metà stinco. Quasi piango dalla commozione ripescando nella memoria quel Pinocchio che si addormenta con i piedi nella stufa ritrovandoseli al risveglio ben carbonizzati. Ma lui almeno lo sveglia il buon padre Geppetto soccorritore. Io invece ho due lonze affumicate, gli occhi in fiamme, non vedo il nemico d’ombrellone e non lacrimo certo per la commozione. Neanche lo sento il nemico, troppo il vento e il di lui passo felpato dalla sabbia. Con un urlo interiore trovo la forza e l’acqua minerale, mi strappo la ceretta del lettino dalla schiena e siamo a due urli interiori, mi sciacquo la faccia e le orbite offese, ritiro all’ombra le lonze fumanti a velocità senile nonostante la trentina e finalmente mi siedo e scorgo il nemico. No. LA nemica. Lo sapevo, non poteva essere che lei. La razionale ne ha azzeccata almeno una e mentre fessa si compiace, quasi distrae la animale dall’evitare una terza imprevedibile scudisciata. Ma ce la fa. Ce la fa con l’imprevisto: il velo d’acqua minerale sul viso. Ora ho due lonze e la faccia panata. Somiglio sempre più a una vetrina di macelleria. Riesco comunque a riaprire gli occhi e a generare un timido «oh!», ma controvento. Elena, la vicina assassina, non mi sente. «OH!» ci riprova la mia animale. Stavolta mi sente, mi guarda, stupisce un attimo e sbotta e stoppa in riso trattenuto. Elaboro all’interno un «CAPRA MALEDETTA!» e innervosito quasi mi perdo che  si è scusata. Capretta è il suo alias nel giro ma so che a lei non piace affatto. In effetti mi fa pensare ad una capra, una capretta nera bassina ed anoressica. Sembra che la materia le ami solo il fondo schiena che è l’unica attrattiva del suo essere ai miei occhi. Prediligo le abbondanze, forse influenzato dai miei centotrentasette chili. Spesso, sotto gli occhiali da sole, fingendo di dormire sul lettino strategicamente inclinato, studio le abbondanze femminili limitrofe creando una sorta di concorso, un harem miraggio immaginario di un essere tendente alla consistenza gelatinosa tranne le dita, agili muscoletti da tastiera. Ermete l’hacker solitario. Difficile per me pensare ad una compagna, preferisco quelle virtuali, il fai da te e la calma quiete del mio oscuro bunker tecnologico. La capra ha occhi troppo grandi e troppo neri, i capelli troppo corti e troppo neri, il naso troppo sottile la bocca troppo grande, troppe lentiggini e troppi piercings  tutto o troppo o troppo poco. Per me è fuori concorso. Il suo sguardo furbo e scattante è tra l’indagatore e il troppo dolce-compassionevole e ho  la spiacevole sensazione di attrarre la curiosità di quel mostriciattolo belante, spesso la sorprendo a fissarmi mielosa. Io e lei quasi mai comunicato, qualcosa sul più e il meno tutt’al più,  io sempre troncando la sua logorrea da bocca larga. In spiaggia è schiva, tranne che con un ristretto numero di amici abbastanza eccentrici come lei con i quali non fa altro che blaterare insensatezze, lingua abnorme e sproporzionata per una capretta. Elena la capretta nana dello sprofondo sud, troppo nera e troppo vispa, mi innervosisce già alla vista. Stizzito, per perderla mi dirigo al mare, è finita l’acqua minerale e ho la faccia panata da lavare. Perché finisco ogni anno in questo posto? Sabbia, salsedine, polvere, sole, vento e capre. Fatale per uno come me. E i vecchi: «Ti fa bene! Non vedi che colori hai preso? Lo iodio! Respira lo iodio! ». Vi odio! I miei colori preferiti sono fondo nero e scritte verdi, se proprio vi interessa saperlo! E poi lo iodio si prende dal pesce non basta respirarlo e a me il pesce mi fa schifo! Non capiranno mai. Mi sento “L’uomo che cadde sulla terra” con qualche decina di chili in più…non vedo l’ora di tornare a casa. Non faccio il bagno quasi mai, solo quando è calmo e oggi il vento gonfia il mare. Cavalloni bianchi e capre nere, troppi anche gli animali, li amo solo negli hamburger e sulle copertine dei manuali di programmazione. Entro appena sopra le ginocchia . Mi chino per bagnarmi solo gli occhi con le mani, ho brividi di freddo, lonze che bruciano sotto sale e la razionale che ancora si interroga sul perché degli animali sulle copertine dei manuali di informatica. Riapro gli occhi troppo tardi per vederlo in faccia il cavallone che mi schiaffeggia e mi festeggia in toto sbalzandomi in tre mosse il fondo-schiena sull’arena. Mi ritrovo seduto. Tricheco seduto, nome perfetto se fossi nato pellerossa. Ho perso il costume, panico, come esco?  No! Si è agganciato alla lonza sinistra, lo sento, ora la risacca lo tira verso il largo, con l’alluce ustionato lo trattengo, carta vetrata di sabbia e acqua salina sull’ustione. Terzo urlo interiore. Maledetti i pantaloncioni grandi e timidi. Quanto vorrei il coraggio di un bel Lycra attillato. La razionale si aziona narcisistica e nel momento sbagliato: avrei il fisico? La animale la risveglia urlandole che il livello del mare risaccato si sta abbassando troppo in fretta e che bisogna fare qualcosa o i bambini che mi guardano e sghignazzano vedranno il resto del tricheco, forse anche la capretta maledetta, devo rimettere il costume rapido. Con uno scatto trichechino lo tiro su, quasi colpo della strega e sghignazzi cafoncelli. Bene! Stasera me ne torno nel mio bunker su nel freddo nord. Torno all’ombrellone ostentando disinvoltura e capisco dalla traccia traditrice di una vena sulla fronte e la tensione sul viso di chi trattiene un ulteriore riso che Elena, prima di andarsene, ha avuto il tempo di masterizzare tutto il mio show. Questa zotica capra mi studia, interiorizzo guardandola in cagnesco. Lei mi ricambia, i grandi e mielosi fanali neri, con un ultimo sguardo da capra compassionevole sui miei calzini rossi UV e gli insaccati che cerco di celare doloranti nella sabbia bollente. Si incammina verso il lido e mi saluta, la testolina rivolta indietro. A quel punto, immobile, stremato ed ansimante decido vendicativo ed ostinato di studiarle il lato B ondulante e traboccante dai jeans corti e sfilacciati. Tanto non ci sei nel mio concorso! Ma la capra si sa, è più rapida del  tricheco, si gira di scatto e mi tana. Riesco a perdermi il suo riso voltandomi. «È stata la razionale o la animale a scatenare la vendetta?», mi chiedo mentre raccatto le mie cose e cerco gli spicci per la doccia e non li trovo… Non li trovo! Oddio la salsedine! Oddio io odio la salsedine e lo iodio! La odio al punto che non sento più il bruciore delle lonze affumicate. Non metterò la maglietta, no! Morirei di brividi, potrei uccidere il primo che mi si para avendo le lonze insabbiate più il trio nefasto pelle-salsedine-cotone! Ma non posso passare per il lido senza, non ci riesco, mi vergogno troppo del tricheco. Calma, la razionale mi da la soluzione: metti la maglietta fino a che non esci dal lido, poi quando sei alla macchina la togli. Dovrai soffrire solo per cinquanta metri, te la senti? Per forza. Partito. Nel lido dovrei salutare lungamente e convenevolmente Rocco il barista che non sa che me ne andrò stasera e che sicuramente non mi vedrà più tranne che nella foto ferragostiana di amici, cocomeri e salsicce  appuntata dietro il bancone. Ma non ce la faccio, stanno per partirmi smorfie involontarie e rantolii. Saluto passando in fretta, esco e accelero verso la macchina. Mi affretto sulla stradina sterrata cercando di planare con le infradito ad evitare che la polvere, che odio come, anzi molto più della salsedine, mi entri in contatto con i piedi. La polvere. Terrore dei PC e delle schede madri, sottile, perversa nemica di filtri, ventole e pori, soffocatrice del gentil tatto… mentre la mia razionale parte nel poetico, la animale, non abituata a gestire l’infradito a quella velocità, falla. Inciampo in una pietra con la lonza destra, si sfila il blocco dell’infradito la quale si ripiega e per evitare la caduta percorro mio malgrado i dieci metri che mi separano dalla macchina a velocità da centometrista rischiando di impattare violentemente con il capo l’automezzo che paro con la mano. Boato di lamiera. La ammacco. La stupida razionale passa dalla poesia sulle polveri a improbabili fantasie su clausole assicurative in casi anomali. Prendo fiato, apro lo sportello butto tutto dentro e vado per liberarmi del terrifico cilicio salato e cotonato quando odo una vocina alle spalle che mi chiama. È la capretta. Maledetta! Candidamente mi spiega che il motorino non le parte e che le farebbe comodo un passaggio fino a casa . La guardo muto, ancora con le braccia incrociate davanti, congelato nell’atto di  sfilarmi la maglietta  con il piede sull’infradito ripiegata a metà su se stessa. Lei mi chiede se mi sento bene. Sbroglio le braccia rinunciando disinvolto a sfilarmi l’orribile maglietta ed alzo involontariamente l’infradito che scatta lanciandole una nuvoletta di polvere e brecciolini sulle gambe. Noto che è scalza ed emetto una specie di mugolio che lei interpreta come un sì. Allarga di più il sorriso  fa il giro e sale in macchina. Cammina scalza! Mi sento soffocare, mi ritornerà l’asma. Entro in macchina, mi siedo e la guardo. Sorride la capretta. Lei in realtà non sorride, perché ha SEMPRE il maledetto sorriso stampato, non fa che regolarlo. Recito a mente parte del calendario con qualche variante dedicata ad Elena e alla mia poco pronta razionale ed entro anch’io. Partiamo e ho i nervi da salsedine a fior di pelle, tempeste magnetiche si agitano sulla schiena, le lonze cotte e di polvere panate preferisco dimenticarle, vado pianissimo cercando l’immobilità della maglietta malgrado la stradina sconnessa e con la coda dell’occhio vedo la capretta di fianco appoggiata allo sportello già puntata verso di me, le braccia conserte ed il bagliore del suo massimo sorriso attendente. Maledetta capretta dalla bocca larga e la lingua lunga. Sta così per trenta lunghissimi secondi durante i quali io penso a tuffi olimpionici in celesti piscine d’acqua dolce e cascate del Niagara sulla schiena. Capretta rompe il silenzio a bruciapelo: «prima, in spiaggia, mi fissavi il sedere per caso?». Mi prende alla sprovvista, la razionale sta ancora sott’acqua in un lago d’alta montagna e l’unica cosa che riesco a replicare è un «no..» troppo presto e molto poco convinto. «Guarda che anche tu mi piaci. Non te ne sei accorto, fai finta o sei timido?» scodella mentre mi indica di voltare a destra, in una stradina dritta e lunghissima che sembra portare  nel mezzo delle campagne. Quello che mi fa trasalire è il livello di polvere della stradina. Tanta e bianca, tantissima polvere bianca e finissima. La razionale, vista la situazione, ha già formattato le tre opzioni a tranello proposte da capretta, ma lei deve aver scelto al posto mio per la terza, perché leggo nel suo sguardo un misto di speranza ed attrazione. La polvere mi insegue. Raziona razionale! Guardo nel retrovisore e vedo una tempesta creata dagli pneumatici che ci rincorre ed avvolge già per metà l’automezzo. Capretta mi chiede se mi sento bene. Accelero pensando di evitare di esserne sommerso ma in questo modo, prendendo dossi e buche  aumento i sobbalzi e lo sfregamento cotone-salsedine sulla pelle. Smorfie involontarie attirano la sua attenzione già incentrata solo su di me. Ma non guarda mai dal finestrino? Capra selvatica! Lei mi domanda di nuovo se mi sento bene. Sudato, in preda al panico da tempeste di polvere e orrori tattili di sabbia e salsedine mi scappa automatico un: « Io odio la salsedine e lo iodio.». Scoppia a ridere: «Ma come parli?!? Sembra uno scioglilingua!». Basta! La odio! Ed è anche piena di salsedine la capra! Contrasta con tutto quel bronzo. Ma non le da fastidio? Evidentemente no! Evidentemente è abituata la capra selvatica, va pure scalza. E poi come si permette? Le avrei guardato il sedere? Io? Io di certo no, è stata la razionale. Mentre la odio internamente lei sta cimentandosi nello scioglilingua da me creato: « Io odio la salsedine e lo iodio…Io odio la salsedine e lo iodio…Io odio….». Non resisto, e la attacco:«Siiiii!!! Gli scioglilingua, sai…. come «Sopra la panca la CAPRA campa sotto la panca la CAPRA crepa…». Stavolta non me la perdo, voglio proprio vedere se lo perde anche solo un istante quel sorriso perenne. Lo perde per un fotogramma la maledetta. Poi, come se fosse stata illuminata da una incredibile rivelazione mi fa: «Lo sai che alle capre piace tanto il sale?». Non faccio in tempo ad afferrare il senso che lei spegne il sorriso, afferra il mio braccio destro staccandomi la mano dal volante, lo alza, tira fuori la lingua e lo percorre dalla spalla al gomito. Io inchiodo. La risacca di polvere bianca e fine ci avvolge. Tutto diventa bianco ed abbagliante tranne lei, la nera capretta  che lascia il mio braccio e mi solleva la maglietta. Quasi perdo i sensi mentre la sento lenta e decisa lavarmi e levarmi  la salsedine di dosso. È energica, sicuramente è più forte di me, il suo corpo abbronzato ed anoressico contrasta e affonda puntuta nel mio, impasto bianco di pane salato la accoglie morbido e abbondante. Razionale non capisce come fa a denudarmi seduto. Non capisce come lei è già nuda, si muove con cauta destrezza in uno spazio tanto piccolo, perfetta nei tempi, i movimenti. Cercando i punti d’appoggio come una saggia e nerboruta arrampicatrice continua a lavarmi il sale di dosso al rallentatore. Io lascio fare, lascio entrare la polvere dal finestrino mentre la donna capretta-ragno si prende avidamente e lentamente tutto il suo salato piacere. La razionale sentendosi inutile è uscita a fare una passeggiata e la animale, come un musicista incompreso represso,  si accaparra  finalmente tutta la scena impossessandosi dello strumento a corde vocali. Libero degli ululati che sfociano in riso incontenibile. Posseduto da quel misto tra solletico e godimento immenso mi sento mutare in un lupo allegramente ubriaco che completata la trasformazione smaltisce la sbronza ed è già mannaro. Come un automa passo all’azione. Blocco la capretta prendendola per i fianchi, la sollevo con una forza che non sospettavo d’avere e la pianto deciso sopra me. Lei mantiene un attimo la rigidità, poi sembra svenire, diventa morbida adagiandosi, la testolina con i capelli corti pungendomi il collo e sulla spalla. Scopro quanto è buona la salsedine, mentre lei comincia a muoversi lentamente. Un paio di ore dopo siamo in mare, appena dopo il tramonto, immersi a fare le stesse cose che in macchina incuranti degli schiaffi dei cavalloni. La razionale ormai sarà a casa, lassù, al buio, aspettando che io apra la porta del bunker ed accenda il pc. Avrà molto da aspettare perché io ora amo la salsedine, amo lo iodio e, la polvere… non esiste.

Pubblicato da

Alessandro Cantaro

Alessandro Cantaro, grafico web-designer freelance. Mi piace scrivere e in questo spazio raccolgo e condivido alcune cose. 501k sono gli ultimi quattro caratteri del mio codice fiscale, nient'altro. :-)

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